Quali tracce, oltre al nome, hanno lasciato i romani, che ricordino la loro presenza su questa antichissima
terra?
Intanto c’è il mosaico in bianco e nero, di origine termale, murato sopra la porta del transetto sinistro della chiesa.
Poi, una pietra tombale, con bellissima iscrizione latina, del I secolo d.c., ora nel
Museo Nazionale di Villa Guinigi a Lucca.
Inoltre, diversi muri dell’attuale chiesa, nella parte inferiore, sono muri romani.
E sono certamente di
epoca romana i mosaici a quattro colori rinvenuti a due metri sotto il presbiterio, nel 1966, e anche le
quattro imponenti e rozze colonne, già appartenenti al complesso termale, sono romane.
A tutto questo si aggiungono; i resti di marmo e di pietra lavorati, i pezzi d’intonaco dipinti alla
maniera pompeiana, i vetri colorati, i tubi di piombo e di cotto, le ceramiche, i pavimenti in cocciopesto
e svariate altre cose trovate durante gli scavi del 1965-66.
Infine l’acquedotto, venuto alla luce nel 1836 dopo una inondazione, a cui ha fatto seguito la scoperta,
nella chiusa dell’ex convento, di un tunnel di circa 40 metri appartenente allo stesso acquedotto romano.
Sempre per quanto riguarda i primi secoli dopo Cristo, furono rinvenute, nel 1966, innestate e sovrapposte
al mosaico romano, 13 tombe, tutte di pietra, semplici, senza ornamenti o iscrizioni, che contenevano
scheletri e ossa assai ben conservati; furono, inoltre, trovati, alla base del vecchio altare, murati
in due nicchie, due cofanetti, uno di piombo, contenente un cuore umano intatto, l’altro di pietra,
contenente un calice di legno e un sigillo. A quale epoca appartengano queste tombe e di chi siano le
ossa non è dato saperlo; al riguardo sono state fatte alcune ipotesi (anche suggestive, ma nessuna delle
quali suffragata da elementi certi) che propendono per il sepolcreto paleocristiano della prima comunità
cristiana della zona, oppure per le tombe dei primi martiri cristiani di Cantignano. Proseguendo per questa
seconda ipotesi (tombe dei primi martiri), si potrebbe supporre che sulle tombe dei martiri sia sorto un
primo sacello e quindi una chiesa più grande con un altare che raccoglieva come reliquia, nel cofanetto
di piombo, il cuore del martire più importante e, nel calice di legno, il sangue dello stesso martire.
Una terza ipotesi potrebbe essere questa: i due cofanetti appartengono ai primi tempi della comunità
cristiana cantignanese e lucchese. Qui, sui ruderi delle antiche terme romane, fu costituita una piccola
comunità che si riuniva clandestinamente a causa delle persecuzioni; finite le persecuzioni e divenuta la Chiesa
libera di esercitare il suo culto, dopo Costantino, qui fu costruita una piccola basilica che fu funzionante
sino alla sua distruzione ai tempi delle invasioni barbariche.
Secondo Don Pasquale Picchi (parroco di Badia di Cantignano dal 1957, oggi defunto, al quale si deve
l’organizzazione dei lavori di scavo del 1965-66, la valorizzazione dei reperti rinvenuti e la
predisposizione del libro “Mille pietre di storia” dal quale queste brevi note sono estratte) l’ipotesi
più semplice e più probabile è questa: dopo le incursioni barbariche, convertitisi al Cristianesimo,
i Longobardi chiamarono a Lucca i monaci benedettini di Bobbio e donarono loro le terre di Cantignano.
Sui ruderi romani delle terme fu costruita dai monaci la prima chiesa e l’annesso cenobio benedettino.
I benedettini, venendo a Cantignano, portarono con sé le due reliquie e le collocarono nell’altare
maggiore della chiesa. Le tombe sotto il presbiterio non sarebbero altro che il sepolcreto degli abbati
benedettini.
Il venerabile Cesare Franciotti scrive che, nel Medio Evo, fra le molte abbazie benedettine esistenti
nella diocesi di Lucca c’era anche quella di S. Salvatore di Cantignano, non certo ultima per importanza
se la mette subito dopo quella, importantissima e antichissima, di S. Salvatore di Sesto, sul lago omonimo.
Sull’esistenza dell’abbazia benedettina di Cantignano non ci sono dubbi: di essa parlano i più antichi
documenti dei nostri archivi, civili ed ecclesiastici, e in particolare quelli di Camaldoli. Il primo
documento che ricorda la terra di Cantignano è del 783 d.c.; altro documento, che nomina esplicitamente
l’abbazia e la chiesa di S. Salvatore di Cantignano, è datato 914 e numerosi altri documenti dei
secoli XI e XII sono presenti nell’archivio arcivescovile e nell’archivio di Stato di Lucca.
Del resto, anche se non esistessero documenti scritti, per dimostrare l’esistenza di una abbazia benedettina a Cantignano basterebbe pensare a quanto di essa è giunto fino a noi: il suo nome (Badia, derivato da abbazia), rimasto al paese nonostante il passare dei secoli; il titolo della Chiesa (S. Salvatore), nome assegnato alle più antiche abbazie benedettine; i muri altomedioevali dell’abside, del transetto e di una parte del muro settentrionale della chiesa; gli avanzi marmorei di transenne corali, del secolo VIII, ora murati nella colonna che sostiene il tabernacolo; la monofora e la porticina del transetto di sinistra;
infine, le
rarissime pitture longobarde, scoperte nel 1965-66, sui muri della chiesa e del transetto, esempio forse
unico perché dipinte direttamente su pietra.
Fra le curiosità che ci offrono queste strane pitture, sono le figure di un re e di una regina longobardi,
dipinti sui pilastri che sostengono l’arco trionfale. Forse si tratta del re e della regina sotto il cui
regno fu edificata la prima chiesa abbaziale.
Due, infatti, sono state le chiese e tre i monasteri della Badia di Cantignano, costruiti o ricostruiti
nei secoli.
La prima chiesa e monastero furono edificati dai monaci benedettini provenienti da Bobbio nei secoli VII
e VIII. I benedettini mantennero la loro presenza in Cantignano fino ai primi anni del secolo XII.
La seconda chiesa e la seconda abbazia furono, invece, ricostruiti nei secoli XII e XIII, dai monaci di
Camaldoli che papa Pasquale II mandò “a riformare il monastero” decaduto purtroppo dal suo antico splendore
a causa della vetustà, dall’abbandono e, soprattutto, dalle disastrose guerre che Pisani e Lucchesi si
facevano fra loro, oramai da un secolo, proprio nella vallata di Vorno, intorno al castello dei Soffredinghi
(oggi “castellaccio”), nelle immediate vicinanze del monastero.
Anche il terzo monastero, oggi chiamato volgarmente “palazzo delle cento finestre” fu edificato dai
Camaldolesi nel 1455.
Nel secolo XVI la chiesa e il monastero furono affidati agli abbati commendatari, che venivano nominati
dalla S. Sede.
Fra gli abbati commendatari della Badia di Cantignano si annoverano illustri personaggi, molti dei quali
furono vescovi, cardinali, nunzi apostolici, notabili della corte papale. Non risiedevano in loco e si facevano supplire, per la cura delle anime, da un sacerdote, che percepiva la somma annua di 760 scudi, mentre le rendite del pingue beneficio andavano, per la massima parte, all’abbate e ai suoi amministratori.
La millenaria abbazia di S. Salvatore di Cantignano cessò di esistere di fatto con la soppressione napoleonica,
nei primi anni dell’800; di diritto, cessò il 1° maggio 1819, con la bolla di papa Pio VI. Da allora essa
divenne parrocchia a tutti gli effetti, dipendente dal vescovo di Lucca.
E’ da notare che, fino al 1500, questa Badia, con territorio annesso, costituì un feudo (ecco la ragione del
suo piccolo territorio), sotto la spirituale e materiale giurisdizione dell’abbate, indipendente, perciò, sia
dal vescovo di Lucca che dalla pieve di Vorno. Papi e imperatori l’avevano arricchita di molti privilegi,
compreso quello dell’immunità.
Oggi, la chiesa della Badia si presenta come un piccolo edificio a croce latina, con abside e portico, protetto da un poderoso moderno campanile che domina la vallata. Il suo complesso è l’unione di molti rifacimenti, ultimo dei quali, quello del 1965.
Del suo grande
patrimonio è rimasto ben poco. La cosa più preziosa rimasta è un capolavoro del lucchese Agostino Marti:
si tratta di un dipinto su tavola, con lunetta e predella, rappresentante la Vergine con Bambino e due santi,
S. Bartolomeo e S. Martino. Eseguito nel 1520, su commissione dell’abbate Silvestro Gigli, fu restaurato in
epoca recente dal professor Luciano Gazzi.