Cenni storici su Badia di Cantignano
(fonte: dal libro 'Mille pietre di storia' di Don Pasquale Picchi)

Se vi capita di andare verso i Monti Pisani, passando da Vorno, all’inizio della vallata, in mezzo a due verdi colline, troverete la piccolissima frazione di Badia di Cantignano.
Il nome del paese è sicuramente di origine romana e viene fatto derivare dal gentilizio latino Cantinius (diventato poi Cantinianus e infine Cantignano). Questo Cantinius sarebbe il colono romano a cui Roma, per le sue benemerenze militari, avrebbe assegnato le terre che ora si chiamano Badia di Cantignano; anzi, del pagus di Cantignano, nell’epoca imperiale romana, facevano parte anche i vicini paesi di Vorno, Guamo e Coselli che ebbero, invece, nome e importanza solo dopo la caduta dell’impero, al tempo dei Longobardi.
Nel luogo dove attualmente ha sede la chiesa sembra che, in epoca romana, vi fosse un complesso termale; i reperti archeologici trovati durante gli scavi del 1965-66, le decorazioni murali, la forma e le modalità di costruzione dell’abside (tutti elementi che presentano caratteristiche simili a quelle che si vedono nei resti dei complessi termali di Roma e Pompei) fanno propendere per questa ipotesi. Se si considera poi che la zona era (ed è) ricca di acqua (ne sono testimonianza i resti dell’antico acquedotto romano), si può ritenere certa l’ipotesi della presenza di un complesso termale, anche se non sono state trovate notizie o tracce che permettano di determinare se si trattasse di un edificio pubblico o facente parte di una grande villa romana presente in loco.

Quali tracce, oltre al nome, hanno lasciato i romani, che ricordino la loro presenza su questa antichissima terra?
Il mosaico in bianco e nero, di origine termale, murato sopra la porta del transetto sinistro della chiesa

Intanto c’è il mosaico in bianco e nero, di origine termale, murato sopra la porta del transetto sinistro della chiesa. La pietra tombale del I secolo d.c., ora nel Museo Nazionale di Villa Guinigi a Lucca






Poi, una pietra tombale, con bellissima iscrizione latina, del I secolo d.c., ora nel Museo Nazionale di Villa Guinigi a Lucca.



I mosaici a quattro colori rinvenuti a due metri sotto il presbiterio nel 1966


Inoltre, diversi muri dell’attuale chiesa, nella parte inferiore, sono muri romani.





Le colonne, già appartenenti al complesso termale E sono certamente di epoca romana i mosaici a quattro colori rinvenuti a due metri sotto il presbiterio, nel 1966, e anche le quattro imponenti e rozze colonne, già appartenenti al complesso termale, sono romane.


Alcuni dei reperti trovati durante gli scavi del 1965-66





A tutto questo si aggiungono; i resti di marmo e di pietra lavorati, i pezzi d’intonaco dipinti alla maniera pompeiana, i vetri colorati, i tubi di piombo e di cotto, le ceramiche, i pavimenti in cocciopesto e svariate altre cose trovate durante gli scavi del 1965-66.
Infine l’acquedotto, venuto alla luce nel 1836 dopo una inondazione, a cui ha fatto seguito la scoperta, nella chiusa dell’ex convento, di un tunnel di circa 40 metri appartenente allo stesso acquedotto romano.


Le tombe contenenti scheletri e ossa assai ben conservati

Sempre per quanto riguarda i primi secoli dopo Cristo, furono rinvenute, nel 1966, innestate e sovrapposte al mosaico romano, 13 tombe, tutte di pietra, semplici, senza ornamenti o iscrizioni, che contenevano scheletri e ossa assai ben conservati; furono, inoltre, trovati, alla base del vecchio altare, murati in due nicchie, due cofanetti, uno di piombo, contenente un cuore umano intatto, l’altro di pietra, contenente un calice di legno e un sigillo. A quale epoca appartengano queste tombe e di chi siano le ossa non è dato saperlo; al riguardo sono state fatte alcune ipotesi (anche suggestive, ma nessuna delle quali suffragata da elementi certi) che propendono per il sepolcreto paleocristiano della prima comunità cristiana della zona, oppure per le tombe dei primi martiri cristiani di Cantignano. Proseguendo per questa seconda ipotesi (tombe dei primi martiri), si potrebbe supporre che sulle tombe dei martiri sia sorto un primo sacello e quindi una chiesa più grande con un altare che raccoglieva come reliquia, nel cofanetto di piombo, il cuore del martire più importante e, nel calice di legno, il sangue dello stesso martire.
Una terza ipotesi potrebbe essere questa: i due cofanetti appartengono ai primi tempi della comunità cristiana cantignanese e lucchese. Qui, sui ruderi delle antiche terme romane, fu costituita una piccola comunità che si riuniva clandestinamente a causa delle persecuzioni; finite le persecuzioni e divenuta la Chiesa libera di esercitare il suo culto, dopo Costantino, qui fu costruita una piccola basilica che fu funzionante sino alla sua distruzione ai tempi delle invasioni barbariche.
Secondo Don Pasquale Picchi (parroco di Badia di Cantignano dal 1957, oggi defunto, al quale si deve l’organizzazione dei lavori di scavo del 1965-66, la valorizzazione dei reperti rinvenuti e la predisposizione del libro “Mille pietre di storia” dal quale queste brevi note sono estratte) l’ipotesi più semplice e più probabile è questa: dopo le incursioni barbariche, convertitisi al Cristianesimo, i Longobardi chiamarono a Lucca i monaci benedettini di Bobbio e donarono loro le terre di Cantignano. Sui ruderi romani delle terme fu costruita dai monaci la prima chiesa e l’annesso cenobio benedettino. I benedettini, venendo a Cantignano, portarono con sé le due reliquie e le collocarono nell’altare maggiore della chiesa. Le tombe sotto il presbiterio non sarebbero altro che il sepolcreto degli abbati benedettini.
Il venerabile Cesare Franciotti scrive che, nel Medio Evo, fra le molte abbazie benedettine esistenti nella diocesi di Lucca c’era anche quella di S. Salvatore di Cantignano, non certo ultima per importanza se la mette subito dopo quella, importantissima e antichissima, di S. Salvatore di Sesto, sul lago omonimo.
Sull’esistenza dell’abbazia benedettina di Cantignano non ci sono dubbi: di essa parlano i più antichi documenti dei nostri archivi, civili ed ecclesiastici, e in particolare quelli di Camaldoli. Il primo documento che ricorda la terra di Cantignano è del 783 d.c.; altro documento, che nomina esplicitamente l’abbazia e la chiesa di S. Salvatore di Cantignano, è datato 914 e numerosi altri documenti dei secoli XI e XII sono presenti nell’archivio arcivescovile e nell’archivio di Stato di Lucca.

Del resto, anche se non esistessero documenti scritti, per dimostrare l’esistenza di una abbazia benedettina a Cantignano basterebbe pensare a quanto di essa è giunto fino a noi: il suo nome (Badia, derivato da abbazia), rimasto al paese nonostante il passare dei secoli; il titolo della Chiesa (S. Salvatore), nome assegnato alle più antiche abbazie benedettine; La colonna che sostiene il tabernacolo, con avanzi marmorei di transenne corali del secolo VIII i muri altomedioevali dell’abside, del transetto e di una parte del muro settentrionale della chiesa; gli avanzi marmorei di transenne corali, del secolo VIII, ora murati nella colonna che sostiene il tabernacolo; la monofora e la porticina del transetto di sinistra;



Le rarissime pitture longobarde dipinte direttamente su pietra infine, le rarissime pitture longobarde, scoperte nel 1965-66, sui muri della chiesa e del transetto, esempio forse unico perché dipinte direttamente su pietra.



Le figure di un re e di una regina longobardi, dipinti sui pilastri che sostengono l’arco trionfale Fra le curiosità che ci offrono queste strane pitture, sono le figure di un re e di una regina longobardi, dipinti sui pilastri che sostengono l’arco trionfale. Forse si tratta del re e della regina sotto il cui regno fu edificata la prima chiesa abbaziale.
Due, infatti, sono state le chiese e tre i monasteri della Badia di Cantignano, costruiti o ricostruiti nei secoli.
La prima chiesa e monastero furono edificati dai monaci benedettini provenienti da Bobbio nei secoli VII e VIII. I benedettini mantennero la loro presenza in Cantignano fino ai primi anni del secolo XII.
La seconda chiesa e la seconda abbazia furono, invece, ricostruiti nei secoli XII e XIII, dai monaci di Camaldoli che papa Pasquale II mandò “a riformare il monastero” decaduto purtroppo dal suo antico splendore a causa della vetustà, dall’abbandono e, soprattutto, dalle disastrose guerre che Pisani e Lucchesi si facevano fra loro, oramai da un secolo, proprio nella vallata di Vorno, intorno al castello dei Soffredinghi (oggi “castellaccio”), nelle immediate vicinanze del monastero.
Il 'palazzo delle cento finestre' Anche il terzo monastero, oggi chiamato volgarmente “palazzo delle cento finestre” fu edificato dai Camaldolesi nel 1455.
Nel secolo XVI la chiesa e il monastero furono affidati agli abbati commendatari, che venivano nominati dalla S. Sede.
Fra gli abbati commendatari della Badia di Cantignano si annoverano illustri personaggi, molti dei quali furono vescovi, cardinali, nunzi apostolici, notabili della corte papale. Non risiedevano in loco e si facevano supplire, per la cura delle anime, da un sacerdote, che percepiva la somma annua di 760 scudi, mentre le rendite del pingue beneficio andavano, per la massima parte, all’abbate e ai suoi amministratori.
La millenaria abbazia di S. Salvatore di Cantignano cessò di esistere di fatto con la soppressione napoleonica, nei primi anni dell’800; di diritto, cessò il 1° maggio 1819, con la bolla di papa Pio VI. Da allora essa divenne parrocchia a tutti gli effetti, dipendente dal vescovo di Lucca.
E’ da notare che, fino al 1500, questa Badia, con territorio annesso, costituì un feudo (ecco la ragione del suo piccolo territorio), sotto la spirituale e materiale giurisdizione dell’abbate, indipendente, perciò, sia dal vescovo di Lucca che dalla pieve di Vorno. Papi e imperatori l’avevano arricchita di molti privilegi, compreso quello dell’immunità.

La chiesa della Badia come si presenta oggi Oggi, la chiesa della Badia si presenta come un piccolo edificio a croce latina, con abside e portico, protetto da un poderoso moderno campanile che domina la vallata. Il suo complesso è l’unione di molti rifacimenti, ultimo dei quali, quello del 1965.




La Vergine con Bambino, S. Bartolomeo e S. Martino (dipinto su tavola di Agostino Marti) Del suo grande patrimonio è rimasto ben poco. La cosa più preziosa rimasta è un capolavoro del lucchese Agostino Marti: si tratta di un dipinto su tavola, con lunetta e predella, rappresentante la Vergine con Bambino e due santi, S. Bartolomeo e S. Martino. Eseguito nel 1520, su commissione dell’abbate Silvestro Gigli, fu restaurato in epoca recente dal professor Luciano Gazzi.